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Libero
il 17.5.2007



memory padre/father
in memoria di Eva



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riferimento temporale/time reference : 2000


In gennaio

Quando entrò nella stanzetta dell’obitorio gli batteva forte il cuore. Vide un tavolo e sopra c’era il corpo, una massa scura di vestiti: i necrofori non lo avevano ancora preparato. Lo vedeva dalla parte dei piedi, allora avanzò un poco e cercò il volto. Per prima trovò la barba, nerissima e ispida. Non si ricordava che ce l’avesse. In effetti era solo il pizzo, ma vista da sotto gli occupava tutto il mento. Avanzò un altro poco. Vide le labbra ben scolpite, semiaperte e livide. Le orecchie di un viola acceso che contrastavano con il resto del volto, molto pallido. Vide le lunghe ciglia e i capelli, anch’essi nerissimi sul bianco eccessivo della pelle. Gli parve che il morto avesse le mani sprofondate nelle tasche del cappotto. Strano, ma congruo con il gelo della stanza. Era gennaio e ovviamente non c'era riscaldamento, così il cadavere sembrava quasi ripararsi dal freddo, proprio come stavano facendo tutti i presenti.
Ora lo vedeva bene in faccia, uguale a come lo aveva visto l’ultima volta, a Natale. Non che ci fossero dubbi sull’identità: era stato convocato solo per un atto formale. Ma nello stesso tempo ciò che aveva davanti era qualcosa di completamente diverso dalla persona che conosceva: era un morto. Appena l’ebbe pensato gli sembrò un’ovvietà, eppure il contrasto fra la somiglianza, l’identità fisica col vivo che non era più e le manifestazioni della morte lo colpiva con forza. Forse era la pelle opaca, forse la totale immobilità del corpo o forse la semplice consapevolezza, fatto sta che gli pareva quasi di percepire in modo indefinibile, oltre i sensi, l’assenza di qualcosa di sostanziale. E’ da ciò che manca in un cadavere che gli uomini hanno elaborato i concetti di anima, spirito, mente, coscienza.
Gli sgorgò dal cuore come un singhiozzo il sentimento dell’assurdità, dell’ingiustizia di un corpo sano, giovane, bello e irreparabilmente morto. Ucciso da se stesso; o meglio dalla mente con cui aveva convissuto e che l'aveva governato per soli ventitré anni.
L’emozione doveva essere espressa. Disse forte a quel cadavere: “Che stupido!” e gli voleva dire non ti immaginavi non potevi capire eri troppo giovane per poter concepire l’idea che quello che avresti fatto era definitivo, che non era una protesta perché una protesta è una richiesta e se sei morto non puoi ricevere la risposta, che il suicidio non è un gesto perché i gesti li fanno i vivi, che la morte non è la fine della sofferenza perché per sapere che non soffri più devi essere vivo, che la morte è un inganno perché noi le diamo un nome ma non esiste in sé perché i nomi servono solo a definire le cose dei vivi, che per i vivi la morte è in realtà un'assenza o un cadavere, ma è nulla nulla nulla nulla per i cadaveri che non sono più niente altro che oggetti osceni, terribili effimere statue iperrealiste. Poi si mise a piangere a dirotto per tutto questo, e per l’offesa crudele che gli era uscita di bocca.



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